Acqua nei cibi, non sempre è un bene

Andrea Fiorentini
10 Dicembre 2015
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fruttaQuanta acqua c’è nei cibi che mangiamo? La domanda può sembrare inutile e oziosa, poiché l’acqua è un componente naturale di tutti gli alimenti, tranne gli oli e i grassi: in uno spaghetto, per esempio, ce n’è l’11%, anche se sembra del tutto secco, in un pesce arriva a oltre l’80% e in un cetriolo anche al 97%. Ci sono però anche cetrioli giganti, melanzane giganti, peperoni giganti, finocchi super, eccetera, tutti di serra e gonfi di acqua non perché l’hanno attinta da madre natura, ma da abbondanti irrigazioni e, soprattutto, dall’uso dei cosiddetti “fitoregolatori”. Classificati come antiparassitari, sono in realtà sostanze che fanno aumentare artificialmente il volume e il peso degli ortofrutticoli, oltre che il guadagno di chi li vende. E’ tutto regolare, sono permessi in Italia e nell’Unione europea, ma per il consumatore non va tanto bene, troppa acqua va a scapito dei principi nutritivi e, per di più, si paga al prezzo del prodotto vero e proprio. E neanche deve essere dichiarata in etichetta, come nei prodotti confezionati che hanno diversi ingredienti. Anche in questi c’è il trucco, ma almeno è dichiarato: basta leggere l’elenco degli ingredienti di molti prodotti “light” per accorgersi che a uno dei primi posti c’è l’acqua (l’elenco deve essere in ordine decrescente di peso), che costa niente e non dà alcuna caloria. Insomma, per fare un prodotto dietetico basta aggiungere l’acqua, risparmiando sui costi degli ingredienti e facendolo pagare di più al consumatore. A volte non è facile trattenere l’acqua, perché non lega con i grassi, come nei formaggi, oppure evapora, come nei prosciutti cotti soggetti quindi a calo di peso. Nessun problema, anche in questo caso ci sono provvidenziali additivi, i polifosfati, che legano indissolubilmente l’acqua e le impediscono di separarsi e disperdersi. Ecco perché il prosciutto cotto senza polifosfati ha la superficie visibilmente meno umida. Qualche anno fa la Corte di giustizia europea ha condannato un esportatore olandese di prosciutti cotti fabbricati non con la coscia del suino, ma assemblando e sagomando come un prosciutto pezzi di spalla con l’aggiunta di acqua, non dichiarata in etichetta. La legge sull’etichettatura, uniforme in tutta Europa, prevede l’obbligo di indicare il contenuto di acqua quando supera il 5% del peso totale e la suprema Corte europea ha confermato la validità della norma “a tutela del consumatore”. Tutto bene, ma per l’acqua nei cibi ci vorrebbero altre sentenze. Autore: Unione Nazionale Consumatori Data:10 dicembre 2015
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