Come ebbe inizio il consumerismo italiano?
Dottor Dona, come nasce l’idea di costituire un’associazione dei consumatori, dato che la sua è la prima in Italia?
Nasce da un gruppo di amici, alcuni molto autorevoli. Ricordo, tra gli altri, il titolare della Cattedra di Pedagogia della “Sapienza” di Roma, Volpicelli, il direttore dell’Istituto di Merceologia, Arnaldo Foschini e il Preside della Facoltà di Scienze, Sabato Visco -poi fondatore dell’Istituto Nazionale della Nutrizione. Con questo gruppo di persone ci riunivamo per selezionare i pubblici esercizi romani che offrissero alla loro clientela i piatti tipici di Roma. L’idea era di riscrivere, aggiornandolo, il famoso libro di Hans Barth “Le osterie romane”. Queste riunioni conviviali sono durate il tempo sufficiente per spostare la nostra attenzione su quella che ritenevamo una responsabilità di chi produceva le materie prime utilizzate dall’esercente. Ci siamo trovati di fronte alle lacrime di uno di questi che reagiva al rimprovero di averci portato spaghetti scotti e ci invitava a seguirlo nel suo magazzino, mostrandoci la pasta utilizzata, che era la più cara del mercato. L’esercente affermava di non avere altro mezzo che il prezzo per ritenere di utilizzare un prodotto industriale di alta qualità.
La lampadina è scattata in quella occasione: ci siamo accorti, cioè, che la vigilanza sulla produzione era scarsa o nulla e che il consumatore finale era costretto a subire le scelte fatte a monte in materia di prodotti di largo e generale consumo.
A quel tempo io, che ero il più giovane del gruppo, viaggiavo molto per l’Europa, e qualcuno mi consigliò, alla vigilia di un’estate, di approfittarne per vedere cosa si faceva per i consumatori. Scoprii che in Norvegia esisteva già allora un Ministero del consumo, retto da un presidente e da sette membri nominati dalla Corona; che a Stoccolma c’era una cooperativa di consumatori che, quando non riusciva ad acquistare prodotti di qualità ad un prezzo considerato equo, apriva delle fabbriche e produceva da sé le merci da vendere ai propri soci; che in Germania esisteva un’associazione di associazioni di massaie che avevano addirittura realizzato con successo uno sciopero delle carni, costringendo i venditori ad una drastica riduzione dei prezzi.
Infine ebbi la fortuna di incontrare e conoscere, a Bruxelles, Christian Worm, presidente della Consumer Union of United States, venuto in Europa proprio per promuovere associazioni volontarie di tutela del consumatore, quelle che, negli Stati Uniti, avevano cominciato a costituirsi fin dal 1932.
Tornai con questo bagaglio di conoscenze e con una mole enorme di carta e documenti che ci mettemmo a studiare. Era il 1953: all’inizio del 1955 costituimmo un comitato organizzatore che, il 25 novembre dello stesso anno, riunì un gruppo più numeroso di persone nella sala stampa di Roma, in Palazzo Marignoli, e costituì l’Unione Nazionale Consumatori.
La sera della fondazione ci furono diversi interventi delle persone che ho ricordato all’inizio e di altre ancora, tra cui Enrico Mattei (il presidente dell’associazione dei cronisti romani) che presiedette la riunione. Durante quest’ultima furono individuate le linee del possibile sviluppo della neonata associazione. Si arrivò anche ad indicare i possibili dirigenti, rimandando ad un momento successivo la nomina del presidente e si puntò soprattutto alla nomina di un segretario generale che avesse il compito di organizzare anche burocraticamente, la nuova associazione. Qualcuno propose il mio nome con la motivazione che avevo “la faccia di chi muore per la causa”. Sembrava un incarico destinato a durare qualche mese invece è un compito che mi è restato addosso da allora. Forse… per mancanza di concorrenza…
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