Servizi cloud, l’AGCM avvia sei istruttorie nei confronti di Google, Apple e Dropbox

Redazione UNC
16 Settembre 2020
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cloud Un numero sempre maggiore di utenti utilizza quotidianamente il cloud computing: un servizio piuttosto comodo per tutti coloro i quali hanno necessità di salvare  file senza occupare memoria nel proprio dispositivo. Sull’operato di alcuni tra i maggiori provider che operano in questo campo sono stati però sollevati dei dubbi da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) che ha annunciato di aver avviato sei istruttorie nei confronti di Apple per il servizio iCloud; di Google  per Google Drive e di Dropbox. Le accuse che gli vengono mosse riguardano presunte violazioni della Direttiva sui consumatori e la presenza di clausole potenzialmente vessatorie nei contratti che vengono fatti sottoscrivere agli utenti.

Google e Apple

Le istruttorie che riguardano Google e Apple si focalizzano sul fatto che, secondo le accuse, i colossi della Silicon Valley al momento di presentare il servizio ai nuovi clienti, non comunicherebbero con sufficiente chiarezza l’attività di raccolta e utilizzo, a fini commerciali, dei dati forniti dall’utente.

A Dropbox vengono mosse le stesse accuse e non solo…

Stesse accuse degli altri due competitor per Dropbox cui si imputa, in aggiunta, una scarsa trasparenza nella comunicazione di tutti quelli che sono i termini e le procedure per recedere dal contratto in essere. L’azienda con sede a San Francisco è stata inoltre accusata di non consentire al consumatore, per via della mancata comunicazione delle indicazioni necessarie, un agevole ricorso a tutti quei meccanismi extra-giudiziali di conciliazione a cui il cliente ha diritto.

“Ampia facoltà di sospendere e interrompere il servizio”

L’Antitrust ha inoltre comunicato di voler indagare, fra le altre cose, anche su alcune clausole piuttosto controverse che lascerebbero alle aziende imputate ampia facoltà di sospendere il servizio; in caso di perdita dei dati custoditi nel cloud l’esonero di responsabilità; la modifica unilaterale delle condizioni contrattuali; e infine, la prevalenza del contratto nella sua versione inglese piuttosto che in lingua italiana. Restiamo ora in attesa di quello che sarà l’esito delle indagini, il prossimo passaggio è nelle mani di Google, Apple e Dropbox che dovranno presentare prove a loro discolpa. Il Presidente dell’Unione Nazionale Consumatori Massimiliano Dona, intanto, ha così commentato l’avvio delle istruttorie: “Bene, si faccia subito chiarezza! E’ evidente che il consumatore deve essere sempre libero di scegliere e di esprimere il suo consenso alla raccolta dei dati e non va indebitamente condizionato in alcun modo”. Autore: Lorenzo Cargnelutti
Data: 15 settembre 2020
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