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#PocheParole: tra copyright e consumatori

Si è svolto il 9 ottobre 2017 alla Camera dei Deputati, il convegno “#PocheParole tra copyright e consumatori” promosso dall’Unione Nazionale Consumatori per fare il punto sulla riforma del copyright attualmente allo studio a Bruxelles. Non possiamo trascurare, infatti, che la proposta di Direttiva UE del settembre 2016 rischia di avere serie ricadute sulla circolazione delle informazioni online. Ecco una sintesi dell’intervento di apertura dell’Avv. Massimiliano Dona che ha ricordato l’impegno di UNC in una più ampia campagna di informazione e sensibilizzazione rivolta ai consumatori contraddistinta proprio dall’hashtag #PocheParole. Perché “poche parole” come slogan di questa campagna? -ha esordito Massimiliano Dona nell’accogliere i partecipanti- Perché come voi tutti sapete la materia del copyright è attualmente oggetto di un massiccio progetto di riforma che potrebbe andare ad incidere sulla diffusione delle poche righe che compongono i cosiddetti “snippets”. Cosa è uno snippet? Quando effettuiamo una ricerca online nella pagina dei risultati (Serp) ogni link che visualizziamo è composto da un titolo e da una descrizione, una specie di occhiello. Ecco, questo è lo “snippet” che ha una funzione tecnica, da un lato, perché contiene le parole chiave utili all’indicizzazione, ma anche in qualche misura una funzione divulgativa perché deve essere scritto in modo da interessare il lettore così da indurlo a cliccare sul contenuto. Ecco spiegato perché la questione ci sembra focalizzata proprio su queste “poche parole”. Del resto dati consolidati dimostrano che l’utente medio di internet fa ampio ricorso allo snippet per informarsi e spesso (direi purtroppo) si ferma qui: secondo dati Eurobarometro, infatti il 47 per cento degli utenti di internet non fa clic sul link ma si limita ad informarsi tramite queste pillole informative messe a disposizione dagli aggregatori di news. Ecco perché l’accusa che viene generalmente mossa alle grandi piattaforme (come ad esempio Google e Facebook) è quella di fare business incassando i profitti della pubblicità grazie alle visualizzazioni di parte dei contenuti editoriali come le news. Così facendo, però, si lascerebbero a mani vuote i media che hanno realizzato questi contenuti. E’ su questi presupposti, mi perdonerete l’eccessiva semplificazione, che l’Unione Europea sembra ora intenzionata a lanciare questo progetto di riforma in materia di copyright, regole che risalgono al 2001 e che quindi (non c’è dubbio) che siano state scritte in una epoca completamente diversa da quella attuale. L’Unione Nazionale Consumatori, pur condividendo la necessità di un ammodernamento della disciplina esistente, ha manifestato in questi mesi alcune perplessità rispetto alla intenzione della Unione Europea di “chiedere il conto” alle piattaforme: ci chiediamo se la strada intrapresa sia efficace. Insomma, a giudizio della nostra organizzazione, forse si può far meglio di questa sorta di “tassa” da far pagare a chi intende aggregare le notizie (del resto ci sembra già fuori luogo esprimersi in termini di “fiscalità” e meglio sarebbe parlare di “royalties” alle quali sarebbero tenuti gli aggregatori nei confronti dei produttori delle notizie). Naturalmente, in questo scenario, si contrappongono i modelli di business, con da un lato i grandi editori (dal tedesco Axel Springer a News corp di Rupert Murdoc) che sostengono come questa sorta di link tax sia l’unica soluzione possibile per salvare l’industria editoriale; d’altro canto i piccoli editori che temono di restare schiacciati da queste dinamiche economiche. Nel mezzo i consumatori che sono preoccupati di veder ridotto il loro diritto ad informarsi nella misura in cui sarà forse agevole accedere alle informazioni e confrontare fonti diverse esattamente come siamo abituati a fare oggi. In questo quadro l’Unione Europea insiste su questa proposta di intervento che consiste di fatto nel creare “diritti connessi” anche per gli editori (“neighbouring right”) con lo scopo di tutelare non l’opera in sé, ma la sua offerta al pubblico (come già accade nel mondo discografico, cinematografico o televisivo). In conclusione, in termini di sistema, riteniamo che sia necessario un giusto contemperamento delle esigenze senza dimenticare che ogni qualvolta si impone un compenso dobbiamo chiederci se questo compenso economico sia giustificato. Non sta certamente a noi insegnare il mestiere alla grande editoria, ma non c’è dubbio (sono i fatti a dirlo) che il mercato necessiti di un urgente cambio di passo: pensiamo a quanto accaduto nell’industria discografica settore nel quale, mentre una certa old economy scatenava crociate a tutela del copyright, l’avvento di Spotify cambiava epoca! Ecco perché è forse lecito attendere dal legislatore europeo una visione più ampia che non trascuri di tenere in considerazione il fenomeno di Internet, i presupposti che hanno fatto della Rete quel che è oggi, l’esigenza dei consumatori di accedere facilmente alle informazioni di qualità. Leggi le dichiarazioni dei partecipanti al convegno “Poche parole tra copyright e consumatori” Autore: Simona Volpe Data: 11 ottobre 2017
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