Un animale da compagnia è un bene di consumo?

Redazione UNC
20 Febbraio 2019
Condividi su
Un animale da compagnia, con riferimento al valore affettivo che riveste, non dovrebbe avere un prezzo. In realtà, è noto che gli animali possono essere comprati, come avviene per gli oggetti. Secondo una recente pronuncia della Corte di Cassazione, questo concetto potrebbe  però riservare alcuni vantaggi “giuridici” perché può portarci a considerarli “beni di consumo”. La classificazione giuridica degli animali li vede inseriti nella categoria dei beni mobili. Per questo motivo, è possibile acquisirne la proprietà, mediante compravendita, quindi qualora si riscontri che un animale è “difettoso”, cioè che ha una o più di quelle imperfezioni che la legge considera “vizi”, si può far valere la garanzia prevista dalla legge stessa a tutela del compratore (esempi di vizi a carico degli animali sono rappresentati dalle malattie congenite e non ancora manifestate quindi occulte o da patologie infettive). In caso si rilevi un vizio, il Codice del Consumo stabilisce che il compratore possa domandare, a sua scelta, di far curare o persino sostituire l’animale oppure si può chiedere una riduzione fino alla richiesta estrema della sostituzione dell’animale, ricevendo il rimborso del prezzo d’acquisto. È importante sottolineare che, per far valere la garanzia, è indispensabile rispettare i tempi previsti per la denuncia dei vizi al venditore (due mesi dalla scoperta del vizio) e di prescrizione (2 anni dall’acquisto).

UNA SENTENZA RIVOLUZIONARIA

In tempi recenti la Corte di Cassazione ha rivoluzionato l’applicazione di questa disciplina alla compravendita di animali, affermando che l’acquisto di un animale da compagnia è soggetto alle diverse norme stabilite dal Codice del consumo. Con la sentenza n. 22728/2018, infatti, la II Sezione della Corte di Cassazione Civile ha affrontato una controversia originata da un contratto di compravendita avente a oggetto un cane, concludendo che la stessa dovesse essere definita applicando l’art. 132 del Codice del Consumo, in base al quale il venditore è responsabile dei difetti del bene venduto, quando questi si manifestano entro il termine di due anni dalla consegna del bene e sono denunciati dal compratore entro due mesi dalla data in cui li ha scoperti. Nella sentenza, la Suprema Corte ha confermato che la persona fisica che acquista un animale da compagnia, al fine di destinarlo alla soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee a qualsivoglia attività imprenditoriale o professionale, deve essere qualificata a tutti gli effetti “consumatore” e che l’animale da compagnia, quale “cosa mobile” in senso giuridico, costituisce “bene di consumo”. In altri termini, nella compravendita di animali da compagnia, la disciplina del Codice del consumo deve essere considerata prevalente su quella del Codice civile, per cui all’acquirente deve essere accordata la maggior tutela riconosciuta da tale ultimo Codice, quando risultino sussistenti i presupposti per la sua applicabilità. Se è così, allora, speriamo che questa sentenza non sia un passo verso un orientamento a equiparare il cane a un tostapane, ma piuttosto che prevalga nel diritto vivente la consapevolezza che l’evoluzione del diritto codificato sta già imponendo di interagire con il mutamento giuridico che ha portato al riconoscimento degli animali come “esseri senzienti”. Autore: Paola Fossati (animalidacompagnia.it)
Data: 19 febbraio 2019
Condividi su: