Pagare per provare: giusto difendersi così da Amazon?

Redazione UNC
12 Settembre 2019
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La notizia di quel commerciante che, stanco dei molti consumatori che (a suo dire) visitavano il suo negozio solo per provare le scarpe in vendita, ma senza avere nessuna intenzione di acquistare, preferendo poi comprarle su internet, ha scatenato polemiche a non finire. Vuoi provare le scarpe nel negozio? Paga 10 euro! Giusto difendersi così da Amazon? Che ne dite? E’ giusto o sbagliato reagire così a certi comportamenti speculativi di quella (parte di) clientela ormai innamorata dello shopping online che “usa” il punto vendita tradizionale solo come uno showroom per poi cercare il prodotto online a caccia di prezzi migliori? Il tema dice molto sui nuovi trend di consumo, ma anche sulla miopia di certi attori del mercato: insomma, sebbene io creda alla inevitabile convergenza dei canali di vendita, posso persino comprendere che il commercio tradizionale cerchi di “difendersi” dall’ecommerce, ma non mi sembra questo il modo. Dal punto di vista dei consumatori sarebbe lecito attendersi ancora più accoglienza (e più servizi) dai negozi tradizionali, piuttosto che chiusura verso i potenziali clienti. Temi che affronto nel video qui sotto “Vuoi provare le scarpe? Paga 10 euro”.

Vuoi provare le scarpe nel negozio? Paga 10 euro! Giusto difendersi così da Amazon? Il video di Massimiliano Dona

In molti mi chiedono se la pratica è “legale”, considerato che la legge -ovviamente- non prevede questo servizio, ma neppure lo vieta. Dal punto di vista del diritto dei consumatori è necessario richiamare i principi generali della c.d. trasparenza che impone almeno che le persone che entrano nel negozio siano preventivamente informate (dal personale, con cartelli, etc.) delle modalità previste dal negoziante per la prova di calzature, capi, etc.

C’è poi la disciplina fiscale sulla quale –non essendo un fiscalista– mi limito a dire che a fronte del versamento di 10 euro, andrebbe emesso uno scontrino, ma qui non saprei dire se un negoziante può emettere scontrini per “servizi” non direttamente collegati alla sua licenza. Il nodo principale, tuttavia, a mio avviso resta quello della concreta applicabilità della pratica: mi sembra difficile distinguere tra chi prova un prodotto e poi non lo compra in perfetta buona fede (perché non gli piace) e chi, invece, si è recato nel punto vendita solo per verificare la taglia, per vedere come il prodotto gli sta addosso o verificare dal vivo il colore. È chiaro che se il commerciante decide di far pagare anche il primo, sarebbe una scelta discutibile non solo dal punto di vista del metodo, ma anche giuridicamente: applicandosi di fatto a tutti coloro che entrano nel negozio (anche solo per dare un’occhiata) si tradurrebbe in una sorta di “tassa di accesso” al negozio, cosa vietata per i luoghi aperti al pubblico. Ma a questo punto, come distinguere l’approfittatore (che già sa che acquisterà on line) dal normale cliente che semplicemente dopo aver provato un capo, si sarà deciso a non acquistare perché ha cambiato idea? Insomma, può capitare che non si acquisti perché si scopre che il bene non è di nostro gradimento (magari trovo scomode le scarpe o il maglione non mi piace dopo averlo indossato). E farsi addebitare 10 euro in questi casi sarebbe davvero il colmo!

Autore: Massimiliano Dona Data: 11 settembre 2019
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