ISTAT: evasione fiscale 2017, 192 miliardi

Redazione UNC
29 Ottobre 2019
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Nel 2017 l’economia non osservata (ossia economia illegale + sommersa) vale circa 211 miliardi di euro (210,852 mld), il 12,1% del Pil, contro 207,696 mld del 2016 (12,2%), con un rialzo, quindi, dell’1,5%. L’incidenza dell’economia non osservata sul Pil si è perciò lievemente ridotta, confermando la tendenza in atto dal 2014, anno in cui si era raggiunto un picco del 13%.

In particolare, nel 2017 l’economia sommersa, ossia le attività che sono volontariamente celate alle autorità fiscali, previdenziali e statistiche, in sostanza l’evasione, ammonta a poco meno di 192 miliardi di euro (191,955 mld), l’11,1 % del Pil, dai 186,619 mld del 2016 (11,2% del Pil), mentre le attività illegali valgono circa 18,9 miliardi (18,896 mld), l’1,1% del Pil (era 18,078 mld nel 2016, l’1,1% del Pil).

Rispetto alle componenti dell’economia sommersa, la sotto-dichiarazione vale 97 miliardi (97,165 mld, il 5,6% del Pil), l’impiego di lavoro irregolare 79 miliardi (78,750 mld), il 4,5% del Pil (era 78,492 mld nel 2016) e le componenti residuali 16 miliardi (0,9% del Pil).

La diffusione del sommerso economico risulta essere legata al tipo di mercato di riferimento (e di rapporto fra cliente e fornitore) piuttosto che alla tipologia di bene/servizio prodotto.

A livello settoriale si evidenzia che il ricorso alla sotto-dichiarazione del valore aggiunto ha un ruolo significativo nel Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione, dove rappresenta il 13,2% del valore aggiunto del comparto, nelle Costruzioni (11,9%) e nei Servizi professionali (11,6%).

L’impiego di lavoro irregolare ha un peso particolarmente rilevante, pari al 22,7% del valore aggiunto, negli Altri servizi per la persona, dove è forte l’incidenza del lavoro domestico.

Nel settore primario il valore aggiunto sommerso è generato solo dall’impiego di lavoro irregolare, che rappresenta il 16,9% del totale prodotto dal settore.

Il 41,7% del sommerso economico si concentra nel settore del Commercio all’ingrosso e al dettaglio, trasporti e magazzinaggio, attività di alloggio e ristorazione, dove si genera il 21,4% del valore aggiunto totale.

Analogamente l’incidenza relativa del ricorso al sommerso è alta negli Altri servizi alle persone ed è pari al 12,3% del sommerso economico, pur contribuendo il settore solo per il 4,1% alla formazione del valore aggiunto totale.

Il ricorso al lavoro non regolare da parte di imprese e famiglie è una caratteristica strutturale del mercato del lavoro italiano. Sono definite non regolari le posizioni lavorative svolte senza il rispetto della normativa vigente in materia fiscale-contributiva, quindi non osservabili direttamente presso le imprese, le istituzioni e le fonti amministrative.

Nel 2017 sono 3 milioni e 700 mila le unità di lavoro a tempo pieno (ULA) in condizione di non regolarità, occupate in prevalenza come dipendenti (2 milioni e 696 mila unità). L’aumento della componente non regolare (+0,7% rispetto al 2016) segna la ripresa di un fenomeno che nel 2016 si era invece attenuato (-0,7% rispetto al 2015).

L’incidenza del lavoro irregolare è più elevata nel settore dei servizi (16,8%) e raggiunge livelli particolarmente elevati nel comparto degli Altri servizi alle persone (47,7%) dove la domanda di prestazione lavorative non regolari da parte delle famiglie è rilevante. Molto significativa risulta la presenza di lavoratori irregolari anche in agricoltura (18,4%), nelle costruzioni (17,0%) e nel Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (15,8%).

Per quanto riguarda le attività illegali, pari nel 2017 a 18,9 miliardi di euro (18,896 mld), l’1,1% del Pil, con un incremento di 0,8 miliardi rispetto all’anno precedente (era 18,078 mld), la crescita è determinata prevalentemente dal traffico di stupefacenti: nel 2017 il valore aggiunto sale a 14,4 miliardi di euro e la spesa per consumi raggiunge i 15,7 miliardi di euro. Modesta la crescita dei servizi di prostituzione, pari a 4 miliardi di euro, mentre l’attività di contrabbando di sigarette rappresenta il 2,5% del valore aggiunto complessivo (0,5 miliardi di euro) ed il 3,2% dei consumi delle famiglie (0,7 miliardi di euro).

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