La frutta conservata: proprietà, norme e qualche curiosità

Agostino Macrì
18 Giugno 2023
Condividi su

In ogni stagione abbiamo della frutta che giunge a maturazione in grande quantità e che dovrebbe essere consumata rapidamente per evitare che si deteriori. Gli operatori commerciali sono organizzati per prolungare la “vita” della frutta mediante adeguati sistemi di conservazione che utilizzano il freddo, le atmosfere controllate ed altre tecnologie che ne lasciano inalterate le qualità organolettiche, nutrizionali e, soprattutto, di sicurezza.

Le eccedenze sono trasferite all’industria conserviera per trasformarle in altri alimenti come le confetture, marmellate, prodotti essiccati,  succhi, bevande analcoliche e alcoliche, ecc.,  utilizzando tecnologie avanzate. 

Più complicata è la situazione di chi possiede qualche albero da frutta e che all’improvviso si trova ad avere albicocche, susine, ciliegie, more di gelso, fichi, ecc. in quantità abbondanti che difficilmente può consumare in famiglia e che non riesce a “smaltire” tra parenti ed amici. 

Esistono varie tecniche di conservazione “casalinghe” che consentono di ottenere ottimi alimenti e che sono il frutto di esperienze maturate nel tempo da parte dei nostri avi. Molti di questi alimenti sono “caratteristici” di determinate aree geografiche e in alcuni casi la loro tipicità è stata sfruttata anche per produzioni su scala relativamente ampia sotto forma di alimenti DOP e/o IGP.

Il principale limite per la conservazione della frutta fresca è rappresentato dall’elevato contenuto di acqua che permette il mantenimento di reazioni biochimiche di degradazione ed anche lo sviluppo di microrganismi che a loro volta contribuiscono a far “marcire” la frutta. Per conservarla è pertanto necessario “sottrarre” l’acqua dalla frutta oppure di “inattivarla”. I metodi più efficaci sono l’essiccamento o l’aggiunta di zucchero.

Essiccamento

La quantità di acqua nella frutta è generalmente ben oltre il 50 %; l’esposizione a una fonte di calore e a ventilazione consente di eliminarne una buona parte e rendere il prodotto finito conservabile per tempi prolungati. Il metodo classico tradizionale consiste nel mettere la frutta spaccata su delle tavole e lasciata asciugare al sole per tempi che variano in funzione delle condizioni ambientali (irradiamento solare, ventilazione, nuvolosità). Si tratta di una tecnica tradizionale tipica del sud del nostro Paese che richiede molta attenzione; bisogna infatti cercare di evitare il contatto con insetti che potrebbero deporre le loro uova sulla frutta contaminandola. Altro pericolo è lo sviluppo di muffe che potrebbero produrre micotossine.

Decisamente più sicuro è l’essiccamento nei forni dove i tempi sono molto più brevi (possono bastare poche ore) e i pericoli dai contaminanti “biologici” sono praticamente azzerati.

Conservazione mediante lo zucchero

La produzione domestica delle “marmellate” è abbastanza diffusa e consente di utilizzare in modo piacevole della frutta che altrimenti andrebbe sprecata. La tecnica è molto semplice: basta aggiungere dello zucchero alla frutta tagliata a pezzi e lasciare bollire a fuoco lento per tempi che si aggirano intorno all’ora. Durante la cottura si verificano fenomeni chimico fisici che portano alla formazione di un “amalgama”  tra i vari componenti della frutta e lo zucchero; esistono ovviamente diverse ricette che “personalizzano” le diverse “marmellate” rendendole più o meno dense e/o aromatizzate. 

Per abbreviare i tempi di cottura sono disponibili le “pectine”. Si tratta di sostanze naturali ricavate dalla frutta (soprattutto dalla buccia) che chimicamente sono definite come polisaccaridi. Hanno la funzione di “inglobare” l’acqua presente nella frutta  e di rendere “consistente” la “marmellata” che stiamo preparando. In pratica svolgono la stessa funzione dello zucchero e se adoperate in quantità maggiori possono anche evitare di aggiungerlo. In questo modo si possono ottenere le “marmellate” senza zucchero aggiunto che troviamo anche in commercio.

Con la cottura prolungata alcuni principi attivi della frutta (soprattutto vitamine) possono degradarsi, inoltre il prodotto finito può assumere un sapore di “cotto” che non tutti gradiscono. Tali problemi sono molto ridotti utilizzando le pectine che in pochi minuti consentono di ottenere le “marmellate”. 

Esiste il problema che con la cottura, soprattutto quella rapida, alcuni microrganismi e in particolare le muffe, possono resistere e quindi potrebbero svilupparsi durante la conservazione. Di conseguenza, per le marmellate “casalinghe”, è consigliabile la conservazione in frigorifero e il consumo in tempi ragionevolmente brevi (qualche settimana).

Qualche riferimento di legge per i prodotti che troviamo in commercio

Come si può osservare il termine “marmellata” l’ho sempre virgolettato; ciò dipende dal fatto che la loro etichettatura è regolamentata dalla Direttiva CEE 79/693 (recepita nel nostro Paese con il DPR 8.6.82) che cerco di descrivere sinteticamente..

Contrariamente a quanto possiamo pensare il termine “marmellate” è molto limitativo e si può adoperare soltanto per gli alimenti fatti con agrumi e zucchero.

Anche la definizione della crema di marroni è piuttosto esclusiva perché può essere applicata soltanto ai prodotti fatti con le castagne e lo zucchero.

Le gelatine si ottengono dalla miscele di uno o più succhi di frutta e zucchero e lavorati fino ad ottenere una consistenza gelatinosa.

Quando sono presenti uno o più tipi di altri frutti dobbiamo parlare di confetture e su questo punto il DPR diviene quanto mai preciso stabilendo le percentuali dei vari componenti con la loro esatta denominazione. In pratica quando pensiamo di acquistare una comune marmellata in realtà stiamo comprando una confettura.

Nell’ambito delle confetture possiamo imbatterci nelle “composte” che, anche se non citate nel DPR 8.6.82, convenzionalmente sono dei prodotti a basso livello di zucchero aggiunto; in questi casi può capitare di trovare dei prodotti con la dizione “senza zucchero” o, più correttamente, “senza zucchero aggiunto”. Questo significa che è presente soltanto lo zucchero della frutta (fruttosio principalmente) 

Nei vari preparati è possibile aggiungere degli additivi alimentari; tra questi può essere anche utilizzata l’anidride solforosa. La sua eventuale presenza deve essere indicata nella etichetta in quanto si tratta di un allergene che potrebbe creare problemi alle persone sensibili.

Conclusioni

In conclusione quando acquistiamo un alimento conservato a base di frutta troveremo delle etichette che ci consentono di differenziare una marmellata, da una composta o da una gelatina. 

In casa possiamo fare come ci pare e magari chiamare marmellata una composta  di ciliegie e di albicocche: in tal caso commettiamo un reato che però non è punibile perchè si tratta di prodotti destinati all’autoconsumo. 

Si tratta però di sapere quali sono le possibili conseguenze se regaliamo a qualche amico un barattolo di confettura di frutta mista su cui abbiamo apposto un adesivo con la scritta “marmellata” e la cosa venisse scoperta da qualche organo di vigilanza. Probabilmente si soprassederebbe alla denuncia.

Condividi su: