Il vino di sintesi

Agostino Macrì
4 Ottobre 2012
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In Italia una volta c’erano le “bustine” per rendere l’acqua più gradevole rendendola effervescente ed erano molti i consumatori che ne facevano un uso regolare. Poi è arrivata l’acqua minerale gassata che con il tempo praticamente le ha fatte sparire dal mercato. La produzione di vino in Italia è sempre stata abbondante anche se non sempre di qualità eccelsa. Questa situazione ha provocato nel passato diverse forme di frode ed adulterazioni e la più semplice ed ingenua era quella di annacquare il vino; ma c’erano anche delle frodi con l’aggiunta di zucchero al mosto o la neutralizzazione dell’acidità. La maggioranza del vino in commercio era comunque di buona o ottima qualità. Nel 1986 si verificò un episodio di estrema gravità in quanto una azienda vinicola che produceva vino di qualità commerciale, con lo scopo di elevare il grado alcolico di un prodotto “leggero” vi aggiunse del metanolo. Trattandosi di un vino di largo consumo si ebbero danni gravissimi con molti morti ed altre persone con danni irreversibili. Questo episodio si è tradotto in un beneficio per l’intero settore alimentare perché sono state potenziate le misure di sorveglianza ed il livello di sicurezza degli alimenti è aumentato in misura significativa. La stessa vitivinicoltura ha migliorato le tecniche di produzione e si è avuto un generale miglioramento della qualità dei vini che, dopo la momentanea crisi, hanno favorito le esportazioni con l’affermazione di tante etichette sui mercati internazionali. Insomma il vino italiano in pochi anni è divenuto sinonimo di qualità e viene molto apprezzato sia dai migliori sommeiller che dai consumatori di tutto il mondo. In alcuni paesi (Australia, California, Cile, sud Africa ad esempio), grazie anche ad italiani che sono riusciti a trasferire viti e tecniche di vinificazione, sono stati sviluppati vini simili ai nostri che alle volte vengono spacciati per italiani. Si tratta di una concorrenza sleale per i nostri produttori che si traduce in seri danni per l’economia italiana con una riduzione delle esportazioni. Recentemente la trasmissione televisiva “Striscia la notizia” ha segnalato il fenomeno di un vino che può essere “costruito” in casa grazie ad un kit che opportunamente “lavorato” consentirebbe di ottenere ottimi prodotti che chiamano “Chianti”, “Barolo”, “Valpolicella” e cosi via. Ovviamente si tratta di prodotti di basso costo e quindi accessibili a tutte le tasche. Navigando su internet si può vedere che sono disponibili “kits” per produrre vino di diversi tipi. I costituenti fondamentali di ogni singolo kit sono il mosto da fermentare, i solfiti, i lieviti e vari additivi che servono per dare aromi particolari. In alcuni casi ci sono anche i trucioli di qualche legno particolare per simulare il vino “barricato”. Con questo sistema il “vino” viene prodotto in tempi molto brevi ed a costi molto contenuti. Inoltre il consumatore ha la convinzione, o meglio l’illusione, di bere vini di gran pregio. I paesi maggiori produttori di “kits” per il vino sembrano essere gli USA, ma anche il Canada e non si hanno informazioni precise in merito ad aziende europee. Per produrre un buon vino è necessario seguire una procedura molto complessa che parte dalla coltivazione della vite, la raccolta selezionata dell’uva, la “spremitura” e la fermentazione del mosto, la separazione della “feccia”, il proseguimento della fermentazioni nelle botti e, successivamente,in funzione del vino che si vuole ottenere, l’imbottigliamento e la vendita. I tempi sono molto variabili e vanno da poche settimane per i vini “novelli” fino ad alcuni anni per i vini dai gran pregio (barolo, brunello di Montalcino, amarone, ecc.). Proprio sulla base di un preciso “disciplinare di produzione” l’Unione Europea ha riconosciuto come “tipici” molti vini italiani oltre a quelli citati. Il vino prodotto con i “kits” a cui viene data una denominazione, non può che essere un surrogato e quindi si tratta di una contraffazione molto grave e, almeno in Italia, penalmente perseguibile. In ogni caso danneggia pesantemente, oltre che l’immagine del “made in Italy”, anche la nostra economia che annualmente subisce perdite ingenti proprio a causa delle contraffazioni in diversi settori merceologici. L’aspetto più preoccupante è però quello sanitario. Da quanto si può leggere sui vari siti presenti su internet, non si conosce l’origine del “mosto” con cui si parte per la produzione e che potrebbe essere ottenuto da qualsiasi uva o addirittura da altra frutta. Non si sa se è stato aggiunto o meno dello zucchero ed anche la presenza o meno di contaminanti chimici e/o biologici. Si tratta di situazioni che in condizioni normali renderebbero impossibile la vinificazione. Invece nei kit sono presenti prodotti (conservanti, enzimi, lieviti, aromi, ecc.) che consentono di ottenere il vino. Di alcuni degli “additivi” sopra menzionati ne viene indicata la presenza, ma di altri che probabilmente caratterizzano il prodotto finito, non se ne sa nulla. Insomma si ottiene un vino, che oltre al contenuto di alcol, che potrebbe presentare dei problemi di carattere sanitario dovuti sia a fermentazioni anomale (es. alcol metilico) che agli additivi di cui non se ne conosce la natura. La raccomandazione per i consumatori è quella di non lasciarsi tentare dall’acquisto su internet di “kits” per la produzione casalinga di vino. Un aspetto non sufficientemente considerato è quello del vino venduto nei ristoranti soprattutto quando i camerieri propongono il vino “della casa”. Non si può escludere che, soprattutto all’estero, qualche  ristoratore provveda in proprio con un “kit” a fare il vino. Prudenzialmente quindi potrebbe essere utile richiedere una bottiglia chiusa e sigillata e magari con il marchio di origine. La produzione di vino con i “kits” è sicuramente molto problematica e probabilmente fuori da ogni regola comunitaria. Il mercato consente purtroppo di superare molti ostacoli legislativi e non si può escludere una diffusione “illegale” dei “kits”. I consumatori debbono quindi fare molta attenzione per evitare problemi sanitari che non si possono escludere. Guarda il servizio di “Striscia la notizia”
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