Come contrastare la pirateria digitale in Italia

Mauro Antonelli
9 Giugno 2019
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Immagine di una tastiera di un computer con il. tasto download La pirateria digitale in Italia continua a rappresentare un fenomeno preoccupante. Secondo l’ultimo rapporto realizzato da Fapav (Federazione per la tutela dei contenuti audiovisivi e multimediali) su dati Ipsos, in media ogni anno l’industria audiovisiva italiana perde oltre 617 milioni di euro di fatturato a causa dell’appropriazione e della condivisione illecita di contenuti. Un danno enorme che il dossier stima in un oltre un miliardo di euro per il sistema economico del nostro Paese. Sono cifre allarmanti, per far fronte alle quali in Italia sono state introdotte negli ultimi anni una serie di misure sanzionatorie che, seppur in modo graduale, stanno iniziando a rivelarsi efficaci. Vediamo di che si tratta.

Cos’è il reato di pirateria digitale?

Nonostante molti continuino a credere che lo streaming illegale di film e telefilm, o il download di brani musicali, videogiochi e libri siano azioni “normali”, si tratta in realtà di illeciti amministrativi. Infatti, sebbene i software che consentono il file sharing non siano di per sé illegali, a esserlo è piuttosto l’utilizzo che viene fatto di essi. L’art. 174-ter della legge 633/41 norma il reato di violazione del diritto d’autore (copyright). Esso prevede sanzioni per chi si appropria di contenuti audiovisivi eludendo i canali legali (vale a dire quelli a pagamento) presenti sul web, attraverso i quali i gestori di queste piattaforme remunerano gli artisti attraverso le royalties. Le sanzioni variano in base alla gravità del reato commesso. Se si effettua solo il download illegale di materiale protetto da copyright per uso personale, si incorre in una multa di 134 euro (che sale fino a 1.032 euro nel caso in cui i contenuti scaricati siano molti) e nella confisca del materiale incriminato. Le pene si inaspriscono se il materiale, una volta scaricato illegalmente, viene poi condiviso. In questo caso, in base all’art. 171-ter della legge 631/41, si configura non più un reato amministrativo bensì penale. Se il file sharing viene effettuato senza alcuno scopo di lucro, è prevista una multa che va da 51 a 2.065 euro. La pena aumenta, con multe che partono da 516 euro e la reclusione fino a un anno, se viene condivisa un’opera soggetta a copyright non destinata alla pubblicità. Si parla in proposito di usurpazione della paternità dell’opera, o di deformazione/mutilazione qualora dovesse essere arrecata un’offesa all’onore o alla reputazione dell’autore. Infine, per chi diffonde illegalmente dei contenuti audiovisivi protetti da copyright a scopo di lucro sono previste la reclusione da sei mesi a tre anni e una multa che va da 2.582 a 15.493 euro.

I numeri del fenomeno in Italia

Stando ai dati contenuti nel rapporto di Fapav, nel corso del 2017 il 37% degli italiani ha piratato almeno una volta un contenuto. Si tratta del 70% degli utenti di Internet. Il film resta il contenuto più piratato (81%), seguito dalle serie e dai programmi televisivi. Lo streaming è la forma di pirateria più diffusa (26%), seguito dal download/P2P-peer to peer (22%, in crescita di 5 punti percentuali rispetto alla precedente rilevazione del 2016) soprattutto di film e programmi. Il pirata del web in Italia possiede in media un’istruzione medio alta, è un lavoratore autonomo o un libero professionista. Agisce sapendo che la pirateria è un reato (78%) ma nella maggioranza dei casi ritiene che sia improbabile essere scoperto e ancor meno sanzionato (55%) e ha una scarsa percezione dei danni che il suo comportamento genera sul piano culturale ed economico. Basti pensare che il 72% degli adulti e l’82% degli adolescenti non crede che piratare sia un comportamento grave. Al contempo tra gli italiani c’è scarsa consapevolezza del fatto che scaricando e condividendo illegalmente contenuti audiovisivi sul web aumenti la possibilità di imbattersi in malware, phishing e furto di dati personali, di compromettere la propria attrezzatura tecnologica e di cadere vittime di frodi informatiche. Solo il 55% dei pirati è consapevole di questi rischi, mentre tra i più giovani la percentuale è ancora più bassa. Per quanto riguarda i più giovani, nel 2017 il 44% degli under 15 ha praticato almeno una forma di pirateria, quasi tutti (93%) almeno una di tipo digitale con un’altissima preferenza per i film (90%). A piratare di più sono gli alunni delle scuole medie. Come per gli adulti, lo streaming è la modalità di accesso preferita ai contenuti illegali (34%), seguito dal download (23%).  Come detto, i danni per l’industria audiovisiva sono molto elevati: 617 milioni di euro a cui si aggiungono una perdita occupazionale di 5.700 posti di lavoro, un calo del fatturato per l’intera economia italiana di 1.049 milioni di euro, un’incidenza sul PIL per 369 milioni di euro e mancati introiti fiscali (Iva, imposte sul reddito e sulle imprese) pari a 171 milioni di euro.

Soluzioni per il futuro

Sempre secondo il rapporto di Fapav, l’aumento negli ultimi anni dell’offerta legale di contenuti audiovisivi, più accessibile dal punto di vista economico, flessibile e modellata sui bisogni dello spettatore, ha spinto un numero sempre maggiore di utenti (30%) a optare per un’alternativa legale e a pagamento piuttosto che per un sito pirata. Per contrastare in modo sempre più efficace la pirateria digitale, oltre alle azioni di contrasto al fenomeno (soprattutto l’oscuramento dei siti che si sta rivelando particolarmente efficace, basti pensare che circa un terzo dei tentativi di accesso a siti oscurati si trasforma in fruizioni legali), deve continuare ad aumentare la consapevolezza degli utenti sui danni che questo fenomeno provoca. È un percorso che va però condiviso da tutti: dalle istituzioni e dalle autorità competenti, dalle aziende dell’industria culturale e dagli operatori intermediari della comunicazione. Intervenuto lo scorso 2 aprile a Roma nel corso di un convegno sulla pirateria e sui rischi informatici organizzato da Fapav e dalla LUISS Business School, il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Vito Crimi ha lanciato la proposta di introdurre un nuovo reato per punire il camcording, vale a dire l’attività di registrazione nei cinema dei film in prima visione. “Dietro il camcording c’è un business criminale, ci sono persone strapagate a livello mondiale per registrare i film nelle sale – ha dichiarato Crimi – E da lì nasce tutto il business criminale che c’è dietro. Oggi è un reato di pubblica sicurezza punito solo con una sanzione amministrativa. Non può essere considerato mero disturbo dello spettacolo che si sta svolgendo”. In conclusione, sebbene la pirateria sia un fenomeno difficilmente arginabile, l’unico modo per contenerlo è da un lato sensibilizzare e informare sul tema l’opinione pubblica, dall’altro offrire agli utenti alternative legali il più possibile accessibili a tutti dal punto di vista economico. Autore: Rocco Bellantone
Data: 4 settembre 2019
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