Mangereste una mela raggrinzita? Per l’esperta non sempre è da buttare

Mauro Antonelli
1 Febbraio 2018
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spreco_cibo La riduzione dello spreco alimentare è un tema a cui gli italiani si stanno mostrando sempre più sensibili. A contribuire a questa inversione di tendenza è stata anche la legge 166/2016 – cosiddetta “antisprechi” – il cui principale merito è quello di aver regolato all’interno di un unico quadro normativo ruoli e competenze di tutti quei soggetti della filiera agro-alimentare che partecipano attivamente al recupero e alla donazione dei prodotti in eccedenza. In quest’ottica l’impegno dell’Unione Nazionale Consumatori – anche nell’ambito del progetto LIFE-Food.Waste.StandUp – è fornire le informazioni necessarie per rendere i cittadini pienamente partecipi di questo processo. Ne abbiamo parlato con l’esperta Giuseppina Marilia Tantillo, professoressa di Ispezione degli Alimenti presso il Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”. 
Tantillo
Giuseppina Marilia Tantillo

Che bilancio traccia di questa legge a un anno e mezzo dalla sua entrata in vigore?

Il mio giudizio è altamente positivo. Con questa legge si è aperto un mondo. Sono stati attivati una serie di interventi e di programmi di ricerca che stanno producendo degli effetti positivi sia sul piano economico che ambientale. Rimane tuttavia ancora da risolvere il problema degli sprechi nella produzione primaria agricola, aspetto che si registra soprattutto nel Sud Italia. Il fatto che prodotti agricoli di seconda e terza scelta (frutta e verdura) non vengano raccolti per gli elevati costi della manodopera è un fenomeno ancora molto diffuso, che merita maggiore evidenza nella tematica degli sprechi. Sviluppare questo segmento produttivo, attraverso il recupero e possibilmente la donazione, porterà sicuramente a migliorare molte situazioni di “disagio” economico.

E poi ci sono i consumatori. Che consigli dà per evitare gli sprechi alimentari a casa?

Sicuramente è giusto, come da più parti viene ribadito, andare a fare la spesa con una lista precisa e dettagliata. In questo modo si soggiace meno all’attrattività delle offerte che ogni giorno propongono i supermercati. Il rischio, altrimenti, è di tornare a casa con troppo cibo nel nostro paniere, che potrà andare in parte sprecato, soprattutto se abbiamo acquistato alimenti freschi e deperibili. È bene sapere, però, che non tutto il cibo che ci sembra andato a male deve essere necessariamente buttato via.

Ci faccia qualche esempio?

Ad esempio, uno stracchino o una mozzarella leggermente colorati di giallo in superficie, o una fetta di prosciutto cotto dall’odore leggermente acido, possono essere ancora considerati cibo non nocivo. In questi casi, infatti, la modifica organolettica potrebbe essere sostenuta esclusivamente da lieviti, che moltiplicandosi sull’alimento ne cambiano aspetto e odore ma certamente non lo rendono nocivo. Il consiglio è di non buttare sempre e comunque gli alimenti che all’esame organolettico non sono “perfetti”, ma di usarli, previa cottura, come ingredienti per una frittata, in un pasticcio di uova o altro. Utilizzando il calore, come è noto, tutti i microrganismi vengono distrutti.

Per quanto riguarda, invece, frutta e verdura?

Quando si trova in casa una mela anche solo leggermente raggrinzita o con un po’ di marciume, la si butta nella spazzatura. Una volta si sprecava meno: ad esempio, le mele un po’ ammaccate, grinzose che non hanno più sicuramente un bel aspetto, possono essere toelettate, tagliate e cotte con un po’ di miele e cannella, divenendo così un ottimo dessert. Non ci rendiamo conto di quanto sia importante recuperare ciò ci sembra “passato” o utilizzare-riutilizzare gli avanzi. In televisione assistiamo a trasmissioni in cui vengono presentati piatti eccezionali preparati da chef stellati, ma raramente si parla del recupero e dell’avanzo. Un consiglio che vorrei dare agli chef è di rispolverare e condividere con gli spettatori qualche ricetta del recupero per non buttare il pane avanzato, oppure per utilizzare un pezzo di salume “dimenticato” in un angolo del frigorifero.

Come si leggono correttamente le etichette?

Attualmente in commercio in Italia c’è solo il latte pastorizzato che ha come indicazione per il consumatore  una data di scadenza perentoria, ossia “da consumarsi entro”. Tutti gli altri alimenti possono presentarsi al consumatore con la formula “da consumarsi preferibilmente entro”. In questi casi se si consuma il prodotto qualche giorno dopo la data consigliata, non necessariamente dobbiamo pensare che potremmo intossicarci, sempre se il prodotto è stato conservato secondo le modalità indicate dall’azienda produttrice. Più semplicemente, dopo la data indicata, il prodotto potrà aver perso alcune proprietà organolettiche originarie. Sui formaggi stagionati, spesso tenuti in frigorifero, possono svilupparsi le muffe. Pochi sanno però che queste muffe molte volte si formano per le condizioni igieniche del frigorifero. Il consiglio è di pulirlo almeno una volta a settimana con un detergente e disinfettante a base di cloro, badando soprattutto alla pulizia delle guarnizioni di gomma dello sportello. È qui che si annidano maggiormente le spore fungine che possono poi contaminare le derrate alimentari che conserviamo in frigorifero. Non dimentichiamoci che la parte ammuffita di un formaggio, solitamente la crosta, può essere eliminata senza buttare tutto il resto.

Per ciò che concerne, infine, gli alimenti recuperati da destinare agli animali?

L’alimentazione degli animali da reddito in Italia è garantita da controlli ufficiali molto severi e da piani di monitoraggio regionali e nazionali. I prodotti alimentari cui fa riferimento la legge riguardano le eccedenze alimentari non idonee al consumo umano, che possono essere cedute per il sostegno vitale di animali: si tratta quasi esclusivamente di alimenti di origine animale, che dopo idoneo trattamento termico – quasi sempre una sterilizzazione – diventano alimento per animali da affezione.
Data: 2 febbraio 2018 Autore: Rocco Bellantone
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